Longanesi. Da un vitigno quasi estinto nasce il vino Bursòn. Oggi vi portiamo alla scoperta di un altro vitigno che ha rischiato l’estinzione. Una ricchezza immensa del nostro territorio che avremmo perso se la caparbietà di pochi uomini e vignaioli non fosse intervenuta a sostegno di quest’uva straordinaria. In questo vitigno non si nasconde solo la storia e la cultura dei suoi acini. Ma c’è un po’ di storia e curiosità del sud est romagnolo.Di tutta quell’area compresa tra Ravenna, Forlì e Imola che da secoli fa ruotare su queste uve parte dei suoi vini. Spesso relegati a ruolo marginale a causa dell’approccio massale che per decenni ha alimentato questa regione. Un approccio ai vini di massa che hanno spinto i produttori ad orientarsi verso vitigni più facili da lavorare e più richiesti dal mercato.
Longanesi, la storia di un vitigno e di una famiglia
Partiamo dal presupposto che questa uva prende il nome dal suo salvatore. Uno dei pochi vitigni che omaggia l’uomo che ne ha salvato il destino. Il Longanesi alla fine del 1800 era considerato un vitigno estinto. La fillossera aveva generato ingenti danni e le poche piante ospitate sulla costa romagnola, coltivate più per consumo personale che per vendita, si pensava fossero state spazzate via. Per decenni nessuno ha avuto mai notizie di questa pianta e forse era stata anche dimenticata nei ricordi di coloro che ne assaggiarono gli ultimi calici.
Dobbiamo attendere quasi la metà del novecento. Quando Antonio Longanesi trova nei suoi terreni a bagnocavallo, in provincia di Ravenna, una vite selvatica che si arrampicava lungo una quercia ( così dice la leggenda). Assaggiando l’uva captò le capacità della stessa. Una piacevole dolcezza e una propensione a raggiungere un elevato grado alcolico.
Nel 1956 decide di impiantare dei filari della stessa e provare a proporla. Solo con la costanza e la caparbietà riuscì a raggiungere più palati possibili nelle zone limitrofe, cercando conferme e approvazione del pubblico locale. Diventa così profeta in patria tanto che il vitigno perde il suo nome originario, ovvero il negretto, e viene adottato dalla famiglia Longanesi. Ormai per la gente del luogo quel vitigno si chiamava così. Per alcuni si chiama Bursòn, ovvero il soprannome che Antonio aveva fin da ragazzo. Da questo soprannome nasce l’omonimo vino. Certo per la nascita ufficiale di quest’ultimo si è dovuto aspettare ulteriori 40 anni. Solo nel 1996 l’enologo Sergio Ragazzini, responsabile della cantina didattica presso l’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente di Faenza, e il viticoltore Roberto Ercolani decidono di scommettere su questo vitigno e di produrre 780 bottiglie da proporre sul mercato. In onore di Antonio Longanesi il vino non poteva che chiamarsi Bursòn.
Successi e fatiche del Longanesi
Il successo è immediato. Servono però altri 4 anni per ottenere gli esami del dna e le certificazioni necessarie per l’iscrizione di questa uva al Registro delle varietà. Dal 2000, con il nuovo secolo, in Italia abbiamo un’altra risorsa per la nostra viticoltura.
Non tutto è stato rose e fiori. Il cammino di questo vitigno per essere riconosciuto sulle tavole italiane è stato simile ad un altro prodotto delle nostre vigne di cui vi abbiamo già parlato. Mi riferisco alla Massaretta. Degustata anche durante la nostra recensione alla cantina Vini Apuani di Roberto Castagnini.
Le difficoltà ruotavano quasi esclusivamente sulla forza e struttura di questo vitigno che mal si scontravano con la richiesta del mercato degli ultimi 50 anni del secolo scorso. Il Longanesi ha un importante grado zuccherino, inoltre ha una livello di polifenoli che si attesta sui 3500. Per un rapido confronto basta pensare che il sangiovese si attesta tra i 1800 e i 2000 . Quasi il doppio per intenderci. Contiene circa 12 mg/litro di glicerina, mentre il sangiovese si ferma ad un valore tra i 6-8 gr/litro. l’Estratto invece non scende mai sotto i 30 mentre il sangiovese non sempre riesce a raggiungere questo parametro. Il tannino in questo vitigno ha una presenza quasi esagerata. Tutto ciò lo rendono un prodotto di non facile bevuta. Richiede un certo impegno. E i primi insuccessi degli anni novanta sono legati proprio all’aggressività al palato che lasciava durante l’assaggio. Un sorso o due erano più che sufficienti per ritenersi soddisfatti della degustazione. Qui entra in gioco il parallelismo con il vitigno Massaretta o Barzaglina. Il vitigno doveva essere addomesticato. Solo l’ingegno di Ragazzini e Ercolani, in collaborazione con la famiglia Longanesi riuscì a trovare una strada percorribile per la messa sul mercato del Bursòn.
Il processo di lavorazione del Longanesi
L’uva si presta ad essere appassita. E questo vantaggio è stato sfruttato pienamente. L’idea di fondo era quello di appassire l’uva aumentando il grado zuccherino e bilanciando le componenti dure con un po’ di morbidezza. Il secondo passo è stato quello di affinare il vino in botti di legno per almeno due anni. Questo processo smussava il tannino senza mitigare più di tanto l’acidità, ottenendo un vino sicuramente più equilibrato ma senza perdere la struttura. Rimane comunque un vino impegnativo. Con questo processo viene infatti prodotto il Bursòn etichetta nera. Indirizzato ad un pubblico più esigente.
Parallelamente si è pensato ad un macerazione carbonica , sempre con l’intento di mitigare l’impatto tannico ma agevolando le note e la freschezza del frutto, in funzione di un prodotto più pronto alla bevuta. Con questo processo nasce l’etichetta blu Bursòn.
E’ interessante l’area in cui si posiziona il Longanesi. Il territorio è quasi esclusivamente pianeggiante. La presenza di argilla è bassissima mentre è elevata la capacità fertile del terreno. Perfetto per questo vitigno che tollera anche la siccità. Per i vignaioli del luogo aver trovato una pianta a bacca rossa che si spossasse con il loro terreno è stata una vera e propria fortuna.
Un consorzio per il Bursòn
A vegliare su questo lavoro c’è la nascita del consorzio di Bagnacavallo. Nato nel 2000 a coronamento del processo di rinascita del Longanesi. Il consorzio è composto da piccole e micro imprese, circa un decina, nei comuni di Bagnacavallo, Lugo, Russi, Godo, Fusignano e Cotignola. Il Bursòn rientra nella ipg Ravenna, ma il consorzio ha voluto fare un passo avanti e si è dotato di un proprio disciplinare che pone ulteriori restrizioni. Quali ad esempio un appassimento di 45 giorni e un invecchiamento in botte minimo di 2 anni per il Bursòn etichetta nera e un affinamento in barrique per almeno 6 mesi per l’etichetta blu.
Il lavoro dell’associazione è relativo alla valorizzazione e promozione del prodotto, permettendo un tavolo di incontro tra le diverse anime del consorzio cercando di convogliare le richieste in un fronte comune per non disperdere le già esigue risorse. Tra le sue attività la partecipazione ad eventi. Le relazione pubbliche con la stampa e le istituzioni, la cura dei canali social per la promozione, e la programmazione di spostamenti per la presenza ad incontri e meeting, quali ad esempio le partecipazioni alle degustazioni o al vinitaly.
Conclusioni
Oggi il Bursòn è riconosciuto come vino di grande qualità che ottiene il favore del pubblico e della critica. Tanti sono i premi che questo prodotto ha portato nelle bacheche delle poche cantine che lo producono. Purtroppo la sua produzione è bassissima, circa 80000 bottiglie l’anno, e la sua capacità di aggredire il mercato, di conseguenza, è ancora più bassa. Interessante il fatto che la scena internazionale regali a questi viticoltori più soddisfazioni che non la scena nazionale. Di fatto oggi proponiamo sui nostri mercati e sul mercato estero una ricchezza che rischiavamo di perdere. Guardiamo in casa. Continuiamo a concentrarci sulle nostre forze, sulle nostre capacità, ne abbiamo molte , in tutta Italia.
Non perdere il nostro prossimo articolo, siamo scesi in una cantina per conoscere da vicino il vitigno Longanesi ed assaggiare il Bursòn. Presto vi racconteremo le nostre impressioni.